“Che fretta c’era, maledetta primavera, che fretta c’era… lo sappiamo io e te”
Con questo ritornello o con altri, si presentava Paolona, quando incontrava qualche, conoscente in paese. Era il suo modo gioviale di salutare, il prossimo.
Così, quando passeggiava per la piazza o per le stradine del paese Paolona cantava, sempre:
 “Vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio”
Perché conosceva tutti e tutti la conoscevano. Lasciavano che finisse il suo ritornello felice: “Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bambola” e poi la salutavano affettuosamente e le chiedevano qualcosa “come stai Paola ?”, “Dove vai Paola?” ma lei come non avesse sentito, continuava: “Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bambola” e riprendeva la sua strada più contenta di prima. La chiamavano Paolona perché era una ragazza un po’ robusta, ma con tutte le cose, al loro posto. Un po’ robusta ma proporzionata e molto femminile. Le uniche parole che, le sentivano pronunciare, erano quelle dei ritornelli delle canzoni. Per questo la chiamavano anche Parolona. Era fatta così, quando era seduta su di una panchina da sola, il suo viso assumeva un espressione tristissima e pensierosa, ma quando qualcuno le passava vicino o le rivolgeva qualche attenzione, il suo viso si illuminava come per incanto, in un sorriso sereno e cantava: “Rose rosse per te, ho comprato stasera, ma il mio cuore non sa cosa voglio da te” Parolona a quel tempo aveva circa, venticinque anni, anche se il suo aspetto ne lasciava intuire qualcuno di più. I suoi vestiti , erano quelli smessi, che le venivano regalati. Il suo viso, quando era serena, era molto gradevole, circondato da lunghi capelli biondi, un po’ sfibrati e spettinati,  ma illuminati da due lampadine azzurre, che spesso si accendevano nel vuoto e nella tristezza infinita.
Era figlia di un alcolizzato, rimasto vedovo troppo presto, e che troppo presto si era arreso alla vita e cercava rifugio, nel vino. Il papà di Parolona le voleva bene, ma da quando le era mancata la moglie , si era ridotto male.  Quando era in casa con lui Parolona, ascoltava sempre la radio. Ma spesso suo padre si infuriava, perché la radio lo infastidiva, diceva che gli faceva venire il mal di testa.  Anche se il mal di testa glielo procurava la sbronza. Parolona per non vedere suo padre, in quello stato e non sapendo bene che, fine avesse fatto la mamma, la cercava, per le vie del paese e per la piazza, sperando di incontrarla di ritorno dalla spesa. Se la ricordano, i più anziani, la mamma di Parolona, una bella signora bionda, con un viso sereno e un po’  balbuziente, che i soliti maligni, prendevano anche in giro, dicendo che “non ce le aveva tutte a casa”, insomma era un po’ ritardata.
Dall’incontro di quel signore che allora,  alzava, solo un po’ il gomito e dalla signora un po’ balbuziente nacque Paola detta, Parolona. Il destino crudele, le aveva portato via la mamma, che lei era ancora piccola, colpita da un male incurabile.
 Parolona era cresciuta col papà che, l’aveva curata bene, compatibilmente col vizio dell’alcool che peggiorava sempre più .L’assistente sociale li seguiva entrambi.
L’assistente sociale voleva bene a Parolona e suo padre e cercava di fare del suo meglio, ma purtroppo, le famiglie e le persone che, avevano bisogno del suo aiuto, erano parecchie nel paese.
Così Parolona e suo padre, non erano seguiti, come le loro condizioni avrebbero richiesto.
Il padre di Parolona usciva solo per bere, essendo in pensione e veniva spesso deriso.
Viveva una solitudine e un disagio assoluto. Parolona, invece era più socievole, cercava di incontrare la gente, per cantargli una, delle sue canzoni. Si fidava Parolona. Si fidava di tutti, anche ingenuamente. Ma era un anima innocente. Ripudiava la cattiveria.
 Tutti erano gentili con lei. Nei limiti del possibile, cercavano di esaudire le sue richieste. E lei li ringraziava a sua modo: “Siamo i watussi, siamo i Watussi, gli altissimi neri”.
Spesso le ragazze della sua età, la portavano con loro, nelle loro uscite o nelle loro passeggiate.
La facevano anche rincasare presto. Le volevano bene. La invitavano sempre alle feste. Come tutti gli anni, una delle sue amiche, la invitò alla sua festa di compleanno. Parolona come al solito, alle feste, ballava a suo modo. Si scatenava in balli inusuali e inventati da lei. Spesso era bersaglio di canzonature da parte dei più stupidi. Ma le sue amiche la difendevano. Ballava e cantava. Cantava e ballava. Poi quando si stancava la riaccompagnavano a casa. In quell’ultima festa però, qualcosa non funzionò come le altre volte. La ragazza che si preoccupava sempre di accompagnarla e riportarla a casa, andò via prima dalla festa, con un ragazzo e lasciò l’incarico ad un altra ragazza, che aveva bevuto un po’ troppo e si dimenticò di lei. Parolona, rimase alla festa con ragazze di fuori, che non la conoscevano nemmeno e con qualche ragazzo del paese, ma sbronzo.
Quei ragazzi sbronzi, ma soprattutto stupidi, presero a scherzare con lei fino a canzonarla. Cominciarono ad allungare le mani, poi in due o tre la portarono in una stanza appartata, col cervello vuoto a perdere, annebbiati dall’alcool e dal branco, le fecero del male. Del male come peggio non potevano fare. Lei all’inizio cantava, come era solita fare con tutti. Loro quel canto lo hanno frainteso. Lei cantava e loro ne hanno approfittato. Ma Parolona quando si è accorta che il gioco diventava crudele smise, di cantare e cominciò a urlare e a piangere disperatamente.
Le urla e i pianti vennero uditi dagli altri partecipanti alla festa, che tentarono, invano, di fermare lo scempio.
Parolona da quel giorno, da quella lurida festa e da quella maledetta sera, non fu più la stessa.
Il suo sguardo era perso nella disperazione totale, ovunque ella fosse, e ovunque la si intravedesse.
Ma qualora incrociasse qualcuno, parolona non cantava più e prendeva a urlare di dolore e a strapparsi i capelli. La si vide in paese, solo qualche giorno ancora, perché presto, venne affidata, ad un istituto. Le avevano spezzato, quella dolce armonia che , nonostante tutto aveva dentro. Nel paese rimane il ricordo, di quella ragazza, che amava il prossimo, ma che suo malgrado, incominciò ad odiarlo.

 

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