“Chi subisce un danno è pericoloso perché sa di poter sopravvivere”. Non smetteva di ripeterselo a mente, fissando gli occhi riflessi allo specchio, l’ultima notte.
Si capiva bene. L’unico modo per guardarsi dentro attraverso se stessa. I suoi occhi liberi, privi di ornamento. Blu come il mare, che spesso lascia reliquie sulla spiaggia.
Per ironia della sorte batteva proprio al di la della spiaggia, sull’arena. Come unici indumenti un paio di lenti a contatto colorate e lunghe unghia dipinte di rosso. Il corpo disteso, i piedi dritti verso l’acqua, cosicché mentre stava supina sulla sabbia i suoi occhi colorati potessero sostare nel buio attorno la luna. Sola quanto lei, circondata dalla fioca luce di mille stelle carnivore che ogni notte spargevano la propria scia lungo il suo ventre.
Venere sfortunata. Tornava a casa e toglieva l’abito semitrasparente dai suoi occhi. Come in un rito era sempre lì riflessa allo specchio.
Mai dimenticava quando un giorno da bambina un signore le si chinava davanti, sorridendo tra le mille margherite di campo.
“Quanti sogni”, le diceva. “Promettimi che un giorno i tuoi begli occhi vedranno quello che io non arriverò a vedere. Ci sono tante cose belle da fare in questo mondo. Promettimelo.”
Tornava a casa che la notte era appena finita con quel volto ben impresso nella mente. Lo vedeva dalla parte opposta delle lenti, quella che nessuno vede, dietro il blu. Dall’altra, le espressioni sconcertanti delle sue stelle carnivore che ogni notte la divoravano. Ruvida la sua immagine allo specchio; come sugli occhi il tocco delle dita.
Ricordava sempre che da bambina lo stesso signore le si chinava davanti porgendole la mano, tra le mille margherite di campo.
“Quanti sogni. Promettimi che un giorno le tue belle manine toccheranno quello che io non arriverò a toccare. Ci sono tante cose belle da fare in questo mondo. Promettimelo.”
Si faceva crescere le unghia come per scendere con una scala sulla verità che non avrebbe mai voluto toccare: le bastava percepirla attraverso le punte rosse, fino a poterla appena sfiorare, sperando di scottarsi il meno possibile.
A volte quando tornava a casa le sue mani erano logore. Scappava lungo la spiaggia, si parava dai duri colpi che le stelle imprimevano sul suo corpo con la scia rovente. In questi casi le cadevano dentro lasciandole un vuoto profondo che si colmava con le sole lacrime. Nel peggiore dei casi continuavano a brillarle dentro per tutta la notte, fino a costringerla a urlare contro a luna.
Tra i ricordi d’infanzia c’era sempre quel signore, che un giorno prendendola in braccio la portò con se fino in cima a una montagna, con le mille margherite di campo che abbracciavano da dietro la scena .
“Quanti sogni” continuava a ripeterle, “e tu, come sei piccola. Promettimi che continuerai a credere sempre in quello per cui un giorno scoprirai sarà la tua vita. Ci sono tante cose belle da fare in questo mondo, e io non ci ho creduto abbastanza. Promettimelo.”
Le stelle continuavano a piovere su di lei come ogni notte.
Da una atterrò un alieno, che la prese per il braccio e la portò con se fino a non toccar più il fondo del mare. Attento nuotatore, s’impegnò a paralizzarla senza farsi inghiottire dalla marea. Quella sera la luna diventò sfuocata da sotto il livello dell’acqua. L’alieno lottò contro di lei per annegarla. Lei arrivò appena a capire cosa le stesse succedendo, fin quando riuscì a liberarsi.
Tornò a casa e si mise davanti lo specchio, con le unghia rotte e senza lenti di cui svestirsi. Priva di scudo e mantello. Le aveva perse in mare, durante la lotta per l’unica cosa in cui adesso capiva di credere. Ripensò a suo padre, il signore del campo di margherite, rimembrando quanto grandi fossero le speranze all’interno del loro regno. Non sapeva come fosse accaduto, ma come mille fiori sull’erba la sua vita si era mischiata ad altre specie. Quel che sa è che sparito suo padre si trovò oltre il campo, a cui non avrebbe più fatto ritorno.
“Chi subisce un danno è pericoloso perché sa di poter sopravvivere”: si ripete la notte in cui lascia il suo corpo per l’ultima volta sotto la scia tossica delle stelle.
Non avrebbe più avuto bisogno di scudi, ne di mantelli. Non avrebbe più avuto bisogno di coprirsi. Di nascondersi. Di sopprimersi.  Sarebbe cambiata, sarebbe andata avanti per un’altra strada. Nessuna stella avrebbe confuso il blu dei suoi occhi. Non ci sarebbe stata mai più nessuna stella se non quelle vere del cielo. Le sue mani non avrebbero più avuto bisogno di scale, la nuova realtà l’avrebbe plasmata lei stessa a partire da adesso.
Restò col volto riflesso fino al mattino, nuda e viva, guardandosi dritta nel blu dei suoi occhi.

 

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