In fondo non è stato difficile. Alzare la mano, aprirla, sentire la tensione che si propaga nelle cinque dita, abbassarla, colpire, avvertire l’impatto con qualcosa morbido, arrendevole. Volevo farlo da molto tempo. E non solo per il gesto. La parte più eccitante viene poi: lo sguardo di lei, prima incredulo, poi colmo di odio, e le lacrime, dio come sono erotiche le lacrime, quelle vere, colme di disgusto, di paura, che ti fanno sentire onnipotente, unico, maschio.

Mi aveva detto che voleva iscriversi all’Università. Al suo paese aveva frequentato una specie di Liceo Classico, aveva studiato Greco e Latino, ora voleva specializzarsi, evolvere, trovare un lavoro che potesse soddisfarla. “Sei tutto il giorno nella tua clinica – aveva affermato – sono stanca di stare sola in casa. I bambini ormai non hanno più bisogno di me. Devo fare qualcosa per me”. Tu non devi fare nulla. Penso io a te, bianco fiore tropicale.

L’ ho sposata una nevosa sera di dicembre. Era bella nell’abito da sposa, il suo sguardo altero e sereno avvolgeva la realtà circostante e la restituiva soffusa di una luce chiara, pulita. Isela è una persona pulita, sicura, sembra provenire da un altro mondo, ci sfiora e passa, ci guarda e prosegue, è brezza e polvere, mare in bonaccia, divinità distante che nulla rincorre e tutto attende. L’ ho sposata nella speranza di possederla, ma non l’ ho avuta mai.

Ci siamo incontrati in un angolo lontano da nebbia e metropolitane, ad una festa troppo alla moda dove entrambi ci stavamo annoiando, andiamo a fare l’amore sulla spiaggia mi disse, io dissi ok ma rimasi dov’ero, non riuscivo a muovermi, troppo alcool, troppa gente e poi lei mi stava guardando con quegli occhi, oh i suoi occhi, sono pietre scagliate contro la tua volontà, ti ammanettano negandoti ogni possibilità di fuga. Algida Isela. Tu reggi il timone, governi la mia nave come il più esperto dei nocchieri. Crudele Isela. Solo il tuo esistere mi ha reso meschino. Io ricco, famoso, affascinante, ricercato, ero ai tuoi piedi come il più umile dei servi.

L’ ho portata con me tra nebbia e metropolitane, sperando di vederla piangere di nostalgia. Invece si è arresa al freddo e al grigiore senza combattere, con la consueta serenità ha arredato la nostra nuova casa, con entusiasmo ha scelto il colore delle pareti, dei divani, dei tappeti, mi ha detto amore ti piace ho pensato di fare tutto bianco e azzurro, uno è il colore della purezza, l’altro quello del vento. Anche tu sei vento, Isela, passi e vai, non ti fermi su nulla, fai ondeggiare le cose, sposti le prospettive, sollevi i vestiti e denudi le persone, mi hai denudato Isela, mi hai spolpato fino alle ossa, mi hai scoperto solo guardandomi, ma non ti sei mai fermata, non mi hai mai fatto entrare, hai sprangato le tue porte, mi hai lasciato solo sempre, con la mia dignità spiegazzata. Non hai mai avuto bisogno di me, non hai mai pianto sulla mia spalla. E come il vento mi rendi nervoso. Molto, molto nervoso.  

Hai partorito due figli cantando. Apparentemente senza dolore. Solo qualche piccolo gemito, un aggrottare di sopracciglia, una lacrima subito asciugata. Io ero lì e digrignavo i denti. Comprendevo perfettamente la situazione, dopotutto sono un medico, e per questo la mia rabbia montava. Mi sembravi disumana, troppo perfetta, docile, bella, eterea. Ti sei dedicata ai tuoi gemelli senza un lamento, non hai preteso aiuto, hai detto che le donne sono nate per questo, e hai creato con loro un legame indissolubile, un cerchio magico dove non sono ammesso, dove cantate e ballate e sorridete senza posa. Da dietro una tenda vi spio e la gelosia mi fa sudare. Pagherai anche per questo. Per avermi rubato i miei bambini, perfida Isela.

Così un giorno un’ossessione si è fatta strada in me. Pensavo devo, voglio vederla piangere, implorare, strisciare, baciarmi le mani. Devo strapparle quel sorriso sereno, voglio vedere il terrore guizzarle nelle pupille, la fronte imperlarsi di sudore. Ho immaginato la scena mille volte. Io  tornavo dal lavoro, un battibecco sfociava in litigio, le voci si alzavano, io la colpivo, una volta, due, tre, e poi la scena finale, lei piangeva e io potevo consolarla, abbracciarla, finalmente vinta, finalmente mia. Così è stato, tranne la scena finale. L’ ho colpita e fatta piangere, questo sì. Credo che abbia pianto soprattutto per la sorpresa, di sicuro non se l’aspettava. Non ha cercato di reagire, si è accucciata in un angolo e ha cominciato a lamentarsi piano, il viso nascosto tra le mani. La rabbia mi ha invaso. L’ ho colpita ancora, e ancora, e ancora, mi piaceva da morire, anche perché il suo bel viso cominciava a stillare sangue e i suoi occhi erano cerchiati da un alone violaceo, prendi, questo per la tua serenità, questo per la tua splendida voce, questo per il tuo sorriso, oh come te l’ ho spento quel sorriso, dimmi come farai ora a sorridere con tutti i denti rotti, come farai a pavoneggiarti in giro con i punti di sutura, bellissima Isela, mio angelo, mio destino. Dimmi cosa dirai domani ai nostri bambini. E se ora finalmente ti sei accorta della mia esistenza.

Mi hai reso il più reietto degli uomini, Isela, mi amor, mi culpa.

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