Tremate tremate le streghe son tornate, lo slogan rimbalza nella testa mentre leggo di un concorso letterario sulla violenza sulle donne. Penso alle donne che conosco e scopro che quasi tutte hanno una storia di violenza. Sto in un bar davanti al mio portatile quando comincio un viaggio nell’emozione. Dentro mi rimane un senso di impotenza, ma anche di solidarietà: da questi due sentimenti comincio a scrivere. Prima le sensazioni. Qualche aggettivo, qualche sostantivo, poche cose che vadano al nocciolo del tema. Cioè? Viviamo in un mondo assurdo in cui è difficile se non impossibile per noi donne ottenere rispetto e considerazione; ma qui ora che c’entra? Mi metto la fare il prete? No, io sono una scrittrice, dice Astra. Comincio a pensare e a mettere su carta in maniera un po‘ bizzarra le emozioni che mi passano per la testa. In ogni corpo bello o brutto che sia c’è una scia, luminosa, come lo strascico di una sposa, questa rimane intatta e misteriosa quando serena splende nell’integrità della persona, come un batuffolo di cotone, direbbero gli indiani, una sorta di anima, che diventa opaca quando qualcuno le arreca offesa, la scalfisce e la viola, fino ad incidere su essa un segno indelebile.

Allora ella rimane marchiata per sempre come una mandria, talvolta impazzisce, oppure si arena in mille considerazioni, deglutisce, rimugina e dopo tanti anni guarisce e torna nel corpo, ma non è più la stessa, soffice e candida come prima, ha perso la sua castità per sempre. Perché la castità non è qualcosa che ha a che vedere con il sesso, è qualcosa di diverso, come una gonna di organza, spumosa, che svolazza con rumore di amido nel vento, è qualcosa di fuggevole eppur concreto, che ciascuna alleva nel suo grembo come fosse patrimonio genetico da salvaguardare, da coccolare, e d’improvviso un uomo viene impunemente a violare. In questo tessuto che svolazza come stoffa di seta, talvolta di cotone, o di organza, leggero, sono scritte le trame del nostro vissuto, del romanzo della nostra vita.

Incontro Viola al bar, i suoi occhi sono ancora spaventati mentre mi racconta la sua storia. Eppure, mi dice, sono passati dieci anni; o addirittura venti? Aveva trenta anni allora. Ha i capelli biondi, lisci, occhi azzurri. Indossa un abito grigio. E’ una giornalista. Viola fu violata una sera di agosto al ritorno di una serata trascorsa ad assaggiar panini in una sagra di paese. Un suo amico si era innamorato di lei e lei lo respingeva, dopo che gli aveva concesso una breve storia in cui c’erano stati scambi affettuosi. Una sera entrò in casa sua e mentre voltava le spalle la scaraventò sul letto e la violentò. Viola si fidava: lo conosceva da dieci anni! Per poco non la uccise! La legge diceva che la violenza sessuale era contro la morale e non contro la persona. La pace sia con te Viola. Astra è una bambina rom di soli dieci anni e per vivere chiedeva l’elemosina. Un signore di 48 anni, distinto, ogni giorno la chiamava accanto al finestrino per darle una banconota, ma in cambio la bimba doveva guardarlo mentre si masturbava, in una stradina laterale nella quale rincorreva l’auto. Astra mi guarda tra le sbarre della comunità nella quale è stata rinchiusa. La pace sia con te Astra.

Marilù vive con la madre che fa la badante ad un anziano signore. Lei e suo fratello sono disoccupati e vivono praticamente di quel poco che la mamma guadagna. Marilù era segretaria in un’azienda, ma un giorno fu “colpevole” di aver causato l’interesse del suo datore di lavoro. Se lo ritrovò nella stessa località di mare in cui era arrivata per farsi una breve vacanza e lì accade che lo respinse procurando poi il suo licenziamento. La pace sia con te Marilù. Gelsomina aveva solo 15 anni e quella sera era uscita con lui che ne aveva 18 per una pizza. Non immaginava che ad aspettare la sua auto nella pineta ci fossero anche i suoi amici. La lasciarono nel casolare a pezzi, svenuta. Non ricordava altro che il loro odore e la lacerazione tra le gambe e il bavaglio per non farla gridare. Sarà per questo che ora quando il marito prova a fare l’amore con lei serra le gambe e piange. La pace sia con te Gelsomina. Bianca era in quell’ufficio da qualche mese. Faceva il suo dovere, tentava di farlo mentre il suo datore la tormentava. Succedeva che ogni cosa fatta venisse denigrata, o rifatta, dalla a alla zeta. Questa violenza si chiama mobbing, ma Bianca non lo sapeva e credeva che fosse lei a sbagliare nel fare le cose e così andò da una psicologa, ma quando vi andò era già troppo depressa. Un giorno inghiottì un flacone di barbiturici perché lei teneva molto a quel lavoro e, senza, la sua vita le sembrava inutile. La pace sia con te Bianca.

Felicia mi raccontava con gli occhi luccicanti, vivi di commozione accanto alla foto sorridente di suo figlio Peppino. Non era un eroe, Peppino, si sentiva una persona normale, onesta, così parlava contro i mafiosi. La notte dell’8 maggio, fu ucciso. Il mandante dell’omicidio un certo Badalamenti, niente a che fare coi badili e l’agricoltura, con la gente che si spacca la schiena di fatica con sudore. Peppino faceva di cognome Impastato, come il pane, sì. Quando le si uccide un figlio una donna è violentata nella sua più intima essenza. Perché un figlio è carne della propria carne. La pace sia con te Felicia. A proposito, dimenticavo, mi presento, io mi chiamo Viola, sono la prima della lista.

Nadia Marino – Caserta

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