Il time-out è una sospensione del gioco che permette agli atleti di riprender fiato e di recuperare la concentrazione. Questa è la storia di un’interruzione che non ha nulla a che vedere con lo sport.

Più di tutto l’aveva ricattata controllando i rubinetti dell’amore e dell’attesa: se lo assecondava c’era armonia; se ragionava di testa sua, si tirava addosso il razionamento o le punizioni sessuali. Piuttosto elementari le tappe del sequestro: il cappuccio oscurante del fidanzamento, lo smarrimento del rincominciare in un posto diverso e poi un colpo di mazza. In quella fase, per il rito sacrificale sarebbe bastato provvedere a una gravidanza indesiderata ma ineluttabile.
Così non fu.

Girl, you’ll be a woman soon, Please, come take my hand, Girl, you’ll be a woman soon, Soon, you’ll need a man. Quel viaggio aveva sempre avuto una data di scadenza non specificata ma incombente. Era la partenza che preludeva alla resa e lei se la sentiva rigare sulle ossa anche quando cercava di non pensarci. Aveva cercato in tutti modi di fare pace con il compromesso che si compie da che mondo è mondo. Si era pigiata in tutti i modi ma, nelle fosse deliranti degli appuntamenti critici, qualcosa di innominato e primitivo le aveva proprio fisicamente impedito di chinare il capo. E quando non c’era stato più spazio per rimandare, proprio all’ultimo momento, le aveva fatto irrigidire tutte e due le gambe a bordo campo. Di conseguenza, non solo si era presa il cazzotto nello stomaco senza scansarsi, ma ci si era proprio piazzata davanti, con le braccia basse.
Ora se ne stava raggomitolata. Sere e notti di vuoto interminabile. Nessuna voce amica, in fondo alla cisterna prosciugata di una stanza in affitto, con una pietra al collo che le impediva di dormire e che alla prima mossa falsa l’avrebbe strangolata. Assordamento da aspirapolvere tutte le sere e il cambio di lenzuola per il risveglio del sabato mattina. Nel letto singolo aveva ritrovato il proprio odore e certe mattine, mentre lavava i piatti della colazione o guardava fuori dalla finestra, non essere partita le dava un singhiozzo di sollievo. Le passeggiate sugli scogli e il freddo in faccia soffiavano un sussulto subito colpevole. Era nel mezzo di una nuova fase della guerra e, stremata dagli appuntamenti telefonici a monosillabi, ridiscuteva i malintesi con monologhi serrati in segreteria. Se chiudeva gli occhi, sentiva l’eco metallico del proprio accoramento colare in una stanza buia d’oltreoceano.

Senza sapere se le risposte sarebbero arrivate e a che ora, per non rimproverarsi da sola le assenze, sgarrava solo dopo il lavoro: un cinema alle sette o la spesa, restando a casa tutta la domenica. E fu per passare il tempo, quasi per caso, che iniziò a disegnare. Pasticciava con le tempere e i collage seduta per terra. Liberava il pennello sui fogli di carta da pacchi, oppure ritagliava le pubblicità delle riviste e dei supplementi settimanali. Li spostava sul foglio grande e li guardava fino a trovare un’idea. Certe volte restava alzata fino a tardi ad esplorare gli spigoli di città sotterranee. L’inverno produsse abissi, notturni e tempeste, una moltitudine di triangoli e striscine di carta patinata. Tra l’antracite e il cobalto trovò Ben Harper e Welcome to the Cruel world in ciclo continuo. Dai ritagli di primavera emersero dei visi pastello, timidi gialli, gli scorci panoramici del futuro e le prime forme umane più sinuose. Poi vennero i Cake, con Fashion Nuggets in cuffia. And so… How am I eveeer to know? – You only teeell meee – Perhaps, perhaps, perhaps. Con gli esercizi più riusciti e le puntine aveva popolato di vita nuova le pareti sbiadite della stanza. A million times I ask you – And theen – I ask you ooover again…
Rientrava dai suoi mondi paralleli con la colla secca sulle dita e gli occhi arrossati, e se non aveva sonno si infilava il cardigan sbrindellato sopra il pigiama e si allontanava dalla luce elettrica sotto i cieli stellati o nelle ore precedenti all’alba. In tutti quei mesi la suoneria abbassata aveva vibrato a ritmo variabile in cucina, inghiottita dalla porta chiusa. E a un certo punto era ammutolita, tra le pesche e l’uva.

 

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