Le diedi appuntamento in un bar del centro. Mezz’ora di ritardo. E gli occhi gonfi che forse aveva pianto. A vederla, le accarezzai il viso e le parlai della possibilità di esporre in un’importante sala d’arte i suoi quadri. Di quella mostra ne avrebbe parlato tutta la città. Io ne avrei curato il catalogo – mortificando il pensiero libero. Un atto d’amore. Non vi pare? Ho altro a cui pensare. Rispose mentre scartava la bustina di zucchero per versala nel caffè.
Ti confesso che mi piacerebbe sapere il motivo del tuo rifiuto. No, non avrei voluto saperlo. Temevo il peggio. E invece.
Ho scoperto di essere incinta. Gli occhi calati sulla tazza. Ne bevve il contenuto. Asciugò il rivoletto sul bordo. E attese la mia reazione.  
Il mio corpo, immobile. Tutto rallentava, sangue, cuore, bile, fegato. Solo pensieri su un comodo ring.  Tanto non se ne accorge nessuno.
E un desiderio. Picchiarla. A mani nude. Con quella sorta di figlio che diceva di ritrovarsi tra le interiora. Di qual padre?  Generatore affabile. Noperditempo.
Tra le pieghe della memoria a volte rimontano le sentenze dei miei parenti. La donna non si tocca nemmeno con un fiore. Diceva papà. Giusto, giustissimo. Rispondevo, io. Il nonno occasionalmente pestava la moglie. Così, Tanto per ricordare chi comanda. Lui poteva. Le femmine, siamo minori, diceva la nonna, asciugandosi il sangue vecchio come lei. In me, a scanso di equivoci, non si è mai insinuato il dubbio che mio nonno avesse ragione. Ora vacillo. Ancora nessuna reazione.
Nel 1985 visitai la tribù dei Nessori, un branco di uomini che non fanno nulla tutto il giorno. Si credono esseri semidivini in ragione della loro protuberanza variabile. Le donne, lavoratrici, copulanti, partorienti, sono picchiate quasi ogni giorno. Sotto le mani del marito, notai una giovane sposa che tentava una timida protesta. Solo negli occhi. Le anziane non ci fanno più caso. Si dispongono in modo da facilitare il percussore. Stanno lì, come mia nonna, ad aspettare in silenzio – non possono mai gridare o piangere le Nessori.  Le madri, oltre che dai mariti, sono picchiate dai figli già iniziati. E un po’ maldestri. In ogni caso, i Nessori – la comunità più lurida e meschina che abbia mai avvicinato – riabilitarono la memoria del nonno incolto che stentava ad esprimersi in lingua nazionale.
Ed ora. Questa donna minore, incarnazione della più intollerabile normalità, mi fa venir voglia di essere un Nessori. Con il permesso di farne quel che voglio.  
Non misi in pratica la mia intenzione. Ma sentii che il tempo dell’attore stava finendo. Non riuscivo nemmeno a dirle le prime sciocchezze che mi passavano per la mente, Che pensi di fare? A chi lo hai detto? Come farai senza un lavoro? Come pensi di allevarlo e secondo quale orientamento pedagogico? Potrei consigliarti una bibliografia sull’argomento…
Anche in quel momento decisi di star zitto. E immobile. Aspettando la licenza per essere me stesso. E scoprire che nulla mi differenzia da un altro uomo.
Nemmeno dall’ignoto padre. Anna non avrebbe abortito. Come avrebbe potuto?
Poco più di sei mesi fa, in uno dei nostri pochi e infelici incontri sessuali, Anna rimase incinta. Perseverante fecondità. Bisogna riconoscerlo.
Venne a casa. La feci sedere. Anna, io credo sia giusto porre fine a questa faccenda, in modo sereno e consapevole. I figli vanno pensati con il dovuto raziocinio e con una prospettiva a lungo raggio, capace di inglobare un articolato progetto di educazione, ponderato e condiviso in sede preliminare, e dunque prima del concepimento. Visto che, in tal caso, è stato saltato più d’un passaggio decisivo, non vedo valide ragioni per portare a compimento questa gravidanza.
Le presi borsa, cappotto e l’accompagnai alla porta. Qualche giorno e seppi che tutto era andato secondo i miei piani.
Mi negai riflessioni ulteriori. Del resto avevo altre cose da fare. Mi buttai a capofitto nella stesura di un saggio che trovò più di un lettore a palesare – con inusuale schiettezza – la preoccupazione per il mio parlare oscuro e ricco di iperboli.
Ora solo ci penso. E cerco di ricordare quand’è che avvenne la scellerata inseminazione. …ecco, ora, ricordo, tutto. A pezzi.
8 dicembre, Immacolata Concezione. Un cielo stellato, e il mare che lievemente brontola. Spumoso. Al san Carlo davano il Tristano e Isotta. Molto mare in quell’opera. E molto mare in quella spiaggia di Napoli. Troppa sabbia che pungeva il culo, nudo sulle coperte di lana. E io felice. Dissi, SONO FELICE.
Non lo volevo fare, lo assicuro. Così al freddo, mi pareva cosa che non m’appartenesse. E lei, ti prego. Accarezza i miei capezzoli infreddoliti e dice, Togli le scarpe. A piedi nudi, si fa meglio l’amore. Non attesi nulla. A sperare che quel momento rimanesse in eterno. Giovane finalmente, io vecchio con i capelli ancora bruni. Al vento. Meglio morire che finire. Lì. Che avrebbe fatto più figura il libidinoso antropologo trovato esanime sulla spiaggia di Capomiseno che un suicida, accademico, un po’ frocio, sul selciato della strada. Lì, sulla sabbia e sotto le stelle aspettando la morte, che bisogno c’era di trattenersi il seme? Tutta colpa del Tristano e Isotta e di quel corno inglese che.
Lì, in quel momento, mi suonava nella testa.

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