Riflettendo sulla sua esistenza appena trascorsa, rimaneva immobile di fronte al cadavere del compagno con il quale aveva condiviso la vita, un po’ scossa per l’improvvisa novità.
Da non credere a quant’era successo visto che proprio ieri, più animato che mai, lui ancora combatteva contro di lei la quotidiana battaglia della convivenza, ostentando come sempre quell’aggressività che più di tutto riusciva immancabilmente a ferirla. Eppure, vedendolo così, disteso sul loro letto, con i lineamenti distesi che sul suo volto segnato formavano quel sorrisino ironico come se ancora adesso la stesse prendendo in giro, capiva la realtà e il valore di quella morte, che cambiava radicalmente il suo mondo.
Non pensava che doveva finire così. Soffrendo aveva covato l’odio per quell’individuo che non le aveva lasciato altra reazione. Lo aveva odiato per la sua ottusità, per la sua incoerenza e pigrizia, per il suo voler spadroneggiare senza tenere nel cuore i suoi diritti, il suo sentimento oramai sanguinante per gli strappi che aveva subito, per i tradimenti, quelli che lui compiva credendo di essere coperto, ma che sempre lei viveva in tempo reale con lui. Lo aveva odiato quando le loro discussioni finivano in sconfitta per lei, perché a causa della sua delicata sensibilità non le rimaneva che scappare, turandosi le orecchie per non subire la volgarità di quell’individuo, la flagellazione della sua personalità.
Ora non aveva più importanza quello che era accaduto, anzi, non ne aveva mai avuta, ora lo sapeva. E’ quello che taluni chiamano destino, scritto per loro come fosse una parte da recitare nel teatrino magico della vita, nel quale erano apparsi interpretando sé stessi nell’unione e nel vincolo imposto dal copione. Era stato un gioco, come poterlo odiare ancora avendo saputo questo. Aveva sofferto certo, ma la colpa era stata anche sua, per l’inadeguatezza a quelle strane regole, per la confusione che si era creata dentro di lei immedesimandosi troppo nei tratti del suo compagno, rendendola dipendente e fragile. Aveva dovuto lottare molto per rimpossessarsi della sua autonomia e lo sforzo costante e stressante dei suoi tentativi, gli strappi che aveva imparato a restituire in pari misura nella lotta per l’indipendenza, avevano finito col logorare la sua serenità, incidendo il suo io con solchi che parevano indelebili.
Ora però che ogni ferita si era improvvisamente cicatrizzata, di fronte al suo convivente che pareva un costume di scena smesso, che aveva perso il potere di influenzare le sue scelte, le sue battute, le sue scene da protagonista, tutto era divenuto simbolo, pura illusione di ciò che era stato, un innocuo gioco di luci e ombre, luci della ribalta che si erano spente per un altro vecchio attore.
Lei era stata presente, la prima ad accorgersi di quel corpo rantolante, mentre le immagini della loro unione si affacciavano per l’ultima visione. Le foto, le immagini di tutti i loro ricordi si erano dissolti in sequenza. Erano apparsi un attimo per poi scomparire per sempre, mentre lei, che si rendeva conto di partecipare all’ultimo rito, provava una sorta di fascinosa paura, come un vuoto che in un brivido mostrava la crudezza della vita. Quando lui spirò, lei per un attimo si sentì mancare, ma fu per un attimo solo, prima di essere riempita di una energia nuova per la nuova vita che l’attendeva d’ora in avanti. Era contenta fosse morto… nemmeno un senso di colpa.
Prima, mai aveva provato una simile carica, neanche in quel tempo quando lui era il suo idolo e lei, giovane, fremeva nell’assecondare ogni suo desiderio. Era lui che voleva allora, quelle sensazioni, quelle che solo lui riusciva a darle e che la facevano vibrare e arrossire per l’audacia che sperimentava quando ancora inesperta, per sentirsi viva, cercava il suo tocco. L’aveva posto sull’altare della sua devozione, ma non c’era restato a lungo. Aveva imparato tanto da lui che di vita si riteneva un esperto, ma poi accortasi dei suoi limiti non poté che travalicarlo, scatenando la guerra in casa propria.
Non ci si poté fare nulla. Lei voleva di più, non c’era più niente fra quello che diceva o faceva lui che accendesse di nuovo il suo interesse. Avvertiva che qualcosa di grande esisteva al di fuori di tutto quello che aveva ricevuto finora, qualcosa che l’attirava oltre la sua condizione, qualcosa che attivava un moto inarrestabile, qualcosa… qualcuno che la chiamava e l’invitava con forza a tornare a casa.
In un certo senso era stata lei ad ucciderlo, ignorando quelli che erano divenuti i capricci di un bambino che non riusciva più ad attirare l’attenzione. Solo quando la sua natura collerica  esplodeva era stata costretta a servirlo ancora, gratificarlo a spese della sua dignità, ma non c’era più amore, solo pazienza, sopportazione, nell’attesa di giorni migliori. Già non gli apparteneva più, aveva già spiccato il volo usando lui come trampolino di lancio, lasciandolo a terra, la stessa dove fra poco sarebbe stato tumulato.
Lei poteva vedere oltre ora, risiedere in trasparenza come un pensiero leggero e intangibile, non più percuotibile, mai più fuori posto, udibile certo, ma solo dalle intuizioni di poeti innamorati, educati al sentimento, capaci di soddisfare l’anima delicata di quella donna che è avida di raggiungere il traguardo del vero amore, com’era lei prima di lasciare il corpo, suo compagno, sposato al suo uomo violento e assassino.

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