E’ passato il pomeriggio, si fa scura l’acqua e dal fiume la sera si spande fino alle case, lungo i viottoli polverosi dove corrono le biciclette dei ragazzi che dal fiume fanno ritorno verso casa. Il ragazzino è in testa, le biciclette degli altri fanno strani rumori per via di quei cartoncini duri messi tra i raggi, il motorino, lo chiamano così i ragazzi. La sua di bicicletta non fa quel rumore, in mezzo ai motorini-biciclette, non si sente più… nemmeno il rumore silenzioso della bicicletta attraverso l’aria.
Adesso sono arrivati sulla strada asfaltata, sente le voci da dietro, bisogna attraversare
                   scatta,
gettandosi dall’altra parte, senza guardare… la frenata di una macchina. Voci spensierate ricacciate in gola. Silenzio. Qualche secondo. La macchina ferma, per un pelo. Successo niente.
Il ragazzino si volta, l’uomo nella macchina ha una smorfia che lui non ha mai visto sul viso di un estraneo, spinge forte sui pedali fino a infilarsi nei garage sotto un condominio…
BUIO
Abbandona la bicicletta a sé stessa, si nasconde dietro una colonna… la macchina l’ha seguito dentro ai garage, fari accesi, l’uomo scende di macchina…
QUESTA STORIA DEL
FIORE UNA VOLTA IL
FIORE PUZOLENTE IL
Nascosto dietro la colonna, fermo non si muove, il ragazzino: corpo più anima. L’uomo: i muscoli la macchina, occhi che cercano intorno. I fari accesi della macchina, la bicicletta, il vestito scuro dell’uomo. La bicicletta. La bicicletta presa a calci, rotta, sfasciata. Gli occhi gonfi di pianto del ragazzino. L’uomo, la macchina se ne va. Buio. Il ragazzino continua a restarsene nascosto, anche dopo che l’uomo se n’è andato, passato lo spavento, fermo non si muove.
FIORE CHISA QUANTI LO
INIORINO CIAO A TUTTI
ANCHE A LA MAMMA E A IL
Sente un rumore che non è un rumore, una bicicletta che attraversa l’aria… un’altra bicicletta silenziosa… si avvicina e può vederlo, un cerotto gli copre un occhio, il suo amico, quello con cui ogni tanto ci parla, senza sputarsi e bestemmiarsi addosso come con gli altri…
“Ti accompagno io a casa.”
Lui ci parla, gli dice mentre era nascosto, fermo non si muoveva, gli veniva da pensare a quand’era bambino, prima elementare, si divertiva a inventarsi storie, come le scriveva lui bambino in prima elementare… lui si ricorda preciso come le scriveva. Le portava alla maestra che le leggeva tra sé e le labbra gli si muovevano… gli sorrideva. Che bello. Sì… adesso però smuoviamoci, è tardi. Dicono insieme.
   Suo padre è un po’ lo sta aspettando affacciato al balcone. Ha dei soldi in una mano, come vede spuntare la bicicletta coi due ragazzi se li infila in tasca. Ieri lo ha picchiato forte suo figlio perché dei ragazzi più grandi lo avevano minacciato e si era fatto fregare il giubbotto, un po’ di quei soldi andranno in un giubbotto nuovo ma ora il ragazzo ne terrà di conto, lo difenderà come una seconda pelle. E poi i soldi facili vanno spesi subito in cose utili, se no spariscono in cazzate che non te ne accorgi… son bell’e spariti.
“Ti fa freddo eh, pezzo di scemo!”
Suo padre pensa, macchè Alfredo Al-freddo lo dovevo chiamare. Invece l’aveva chiamato Alfredo, Alfredino, “per via di un bambino più piccolo di me che si chiamava Alfredino, cioè Alfredo, che era cascato in un pozzo diversi anni fa. Era morto. Sempre quell’anno avevano sparato al Papa. Non era morto.” Suo padre andava ancora a scuola e aveva leticato forte con un compagno di classe, aveva detto preferiva fosse morto il Papa invece di Alfredino. Il compagno gl’aveva detto che era pazzo, che se il Papa moriva scoppiava una guerra come minimo, meglio che era morto Alfredino. Suo padre aveva insistito a dire non gliene fregava niente del Papa e della guerra se moriva. Avevano finito per azzuffarsi.
Quando gl’era nato il bambino aveva ripensato ad allora, s’era rivisto tutto ammaccato per la zuffa, il sangue che gli colava dal naso, “ogni vita che nasce si chiede un sacrificio,” aveva detto a sua moglie, “meglio se di qualcun’altro. Per questo il bambino voglio lo chiamiamo Alfredo. Alfredino! Lo chiameranno tutti. Ti ricordi? Con il sacrificio di quell’Alfredino lì mi sa che gli Alfredi saranno lasciati in pace per un bel po’.”
Al-freddo mica Alfredo lo dovevo chiamare… un bel giubbotto nuovo gli ci vuole, pensa suo padre che ha le mani grosse, una smorfia appiccicata sulla faccia, le narici zeppe di un impasto di cispe e colla. Lui guarda verso l’alto, suo padre, sua madre non c’è, è dentro che prepara per cena. Sua madre quando il ragazzo è fuori con gli amici pensa, se mio figlio se lo prendono gli zingari un pedofilo casca nel fiume e affoga, io mi ammazzo. L’altra sera alla TV hanno raccontato la storia di sua madre. Così è parso a lui. La donna della TV è diventata uguale spiccicata a sua madre. E’ successo a un tratto, c’era questa donna alla TV e una voce le faceva delle domande. La donna/sua madre guardava verso di lui e rispondeva.
– Come sta?
– Come tutti i giorni.
– Mi dica la sua storia.
– Io storia non ne ho.
/sua madre affacciata al terrazzo,
una guancia violacea… l’uomo della macchina è lo sconosciuto che le accarezza i capelli mentre lei perde sangue dagli orecchi… il vestito lordo di sangue appiccicoso lungo le cosce, gocciola… . . .  giù nel cortile, sangue sulla giacca bianca impeccabile di uno che passa, che non s’accorge, così pare, apre un portone e sparisce dentro il palazzo vicino/
“Il giubbotto nuovo ha da durare finchè muore!” Urla suo padre dal terrazzo. La voce della mamma che gli dice di star zitto, di farla finita che il ragazzo ha capito.
QUESTA STORIA DEL FIORE
PUZOLENTE UNA VOLTA IL
FIORE PUZOLENTE IL
FIORE CHISA QUANTI LO
INIORINO CIAO A TUTTI
ANCHE A LA MAMMA E A IL
BABBO CIAO GRAZIE A TUTTI
MAMMA E BABBO CIAO
MAMMA BABBO
IL FIORE PUZOLENTE
 Quando il ragazzo entra in casa sono in cucina, il padre legge il giornale, dice a voce alta il titolo di un articolo, studentesse e prostitute il lato oscuro dell’università, “sei uno schifoso,” fa la mamma, “stanotte ho sognato che mi lasciavi. Un uomo, c’avevi un uomo e io lo conoscevo pure. Mi diceva, ci siamo innamorati io e tuo marito. Io gli chiedevo, ma avete già fatto qualcosa? E lui mi diceva sì, prima me lo sono fatto mettere io. Poi lui. Ah, ho fatto io.”
“Con questo governo di froci che ci ritroviamo,” fa suo padre, “bisogna l’abbozzi di guardare tutti quei telegiornali, tutti quei programmi sulla politica pieni di froci, che te ne frega e cosa te ne viene mai… niente! Poi lo vedi cosa vai a sognare.”
“Signore Dio mio, aiutami. Lo so, te lo chiedo di continuo di aiutarmi.”
“Gli romperai le palle.”
“Lo penso anch’io, ma il prete mi ha assicurato di no: è pregare.”
“Sarà, se lo dice lui… per me gli rompi le palle.”
“Signore, ti prego, aiutami.”
“Questi ragazzi,” fa suo padre, “non si accontentano più di niente. Una volta mangiavamo pane vino e zucchero, la chiamavamo la merenda dei cauboi, e ci divertivamo con nulla, ci bastava mettere un cartoncino tra i raggi della bicicletta per divertirci… e poi il cibbè, le fionde… ooo-oh! Che prega quella! Signoremiodioaiutami, rompe le palle a nostro Signore! Pensa mi sia ammattito, lo so lo so, il cibbè non c’ho mai giocato io ci giocava mio padre tuo nonno, me lo raccontava quand’ero bambino che allora si ascoltavano i padri, i vostri nonni, che ci raccontavano la loro infanzia: è come c’avessi giocato pure io! E le cerbottane, torcere il collo ai gatti, prendere a sassate le case abbandonate e andarci di notte a vedere se c’erano i fantasmi e poi tornarci più grandi a farsi le seghe, poi a farsele fare dalle ragazze, e il divertimento di sfasciare le auto abbandonate… oggi invece vogliono sempre di più, se devono sgraffiare una macchina con un chiodo scelgono una ferrari una mercedes una bmw nuova di pacca, non s’accontentano mai… lo capisci se ti beccano mentre sgraffi una ferrari ho da lavorare tutta la vita per ripagarla!”
QUESTA STORIA DEL FIORE
PUZOLENTE UNA VOLTA IL
FIORE PUZOLENTE IL
“Signore mio Dio, non te le rompo le palle. Vero Signore che non ti rompo le palle? Aiutami Signore.”
FIORE CHISA QUANTI LO
INIORINO CIAO A TUTTI
“Chi vi campa poi a voi due, eh? Che voi due mangiate, siete da campare.”
ANCHE A LA MAMMA E A IL
BABBO CIAO GRAZIE A TUTTI
“Signore ti prego.”
MAMMA E BABBO CIAO
“Come fate se ho da lavorare per pagare una Ferrari, eh, me lo dite!”
MAMMA BABBO
IL FIORE PUZZOLENTE
 Lui pensa a stamani a scuola, al professore di scienze che spiegava i parassiti: animali viventi che si trovano negli animali viventi. L’articolo che leggeva suo padre diceva Ciao a tutti, sono una studentessa di medicina. Mi sento sola e vorrei un po’  di compagnia…suo padre faceva la voce da donna mentre lo leggeva, abbozzala che c’è il ragazzo, badava a dire sua madre, beh poi lo sapete tutti che sono tante le spese da sostenere per studenti fuori sede… tu puoi aiutarmi? Firmato eccetera eccetera… poi l’articolo proseguiva, i vecchi lavoretti da studente non rendono abbastanza e soprattutto sono faticosi, vuoi mettere incassare 50 euro in 10 minuti senza neanche uscire di casa, mostrandosi nuda in webcam su internet? Il boom della rete… quando sua madre non gli da’ più soddisfazione e lo lascia stare lui non c’ha più gusto e fa veloce a finir di leggere, saltando intere frasi… seguono foto senza veli e istruzioni per concludere l’incontro… il lato oscuro degli atenei italiani… perdita della stima in se stesse, alcol e droga sono spesso il capolinea della loro carriera universitaria.
“Non mangiare schifezze,” fa la mamma, “tra poco si cena.”
IL BISCOTTO CHE
NON ERA BUONO
CHE DISDETA SE NE
SUNO MI SGRANOGLIA
“Non mangio schifezze,” fa lui.
“Fa lo stesso, tra poco si cena.”

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