Quando si era bambine, io e Molly ci divertivamo a inventare storie alle nostre Barbie. Erano storie a lieto fine, le nostre.

Sono cresciuta in un mondo protetto e buono. I miei genitori sono le persone più oneste che io abbia mai conosciuto. Anche se mi hanno mentito.

Devo essere stata una bambina molto difficile, ai tempi, di certo avevo una vena di ribellione che pulsava spesso in me. Avevo la lingua arguta, colpa dei loro insegnamenti. La sincerità prima di tutto, dicevano. Ma io forse esageravo. Mi viene da pensare a zio Maurizio e zia Patty. Erano venuti una volta a cena da noi e si stava chiacchierando del più e del meno, quando io me ne venni fuori con una delle mie.

“Zio, ma chi era la donna con cui sei uscito oggi?” Mi ricordo ancora il gesto di stizza di mia zia Patty, che fece cadere la forchetta sul piatto e si voltò si scatto verso di lui. Io avevo solo 13 anni allora e non mi facevo mai gli affaracci miei. Il rossore di mio zio Maurizio non impedì alla sua lingua velenosa di vorticare.

“Vanessa, forse ti confondi con qualcun altro. Non posso di certo essere stato io, visto che ero dal meccanico.” E io : “Ma, zio, sono sicura che fossi tu, perchè avevi proprio la maglia che ti abbiamo regalato io e Patty il giorno del tuo compleanno.”

Io ho un nome molto bello. Vanessa. Vanessa che significa farfalla. Farfalla come libertà. Ed era così che volevo essere : libera di pensare, di agire, di dire. Non conosceva padroni il mio nome.”Maurizio…” disse Patty.

E lui rispose :”Patty, senti…” E bastò quel “senti” a porre fine alla loro storia. Come mi spiegò poi zia Patty, a divorzio concluso, quando un uomo dice “senti” vuol dire che ha qualcosa di brutto da confessare e che sarebbe meglio non sentire. Suo marito non era la prima volta che la tradiva. Io mi rattristai, perchè credevo nell’amore vero e vedere una catastrofe così da vicino mi procurò un malessere interiore che prima di allora non avevo conosciuto. Si trattava della paura. Paura di non trovare un uomo giusto nella mia vita. Paura di credere nell’amore o nell’altro. Ma mia madre e zia Patty, che poi era la sorella, mi rassicurarono dicendo che la vita riservava tante belle sorprese e che l’amore esisteva, così mi dissero. Quando avevo 17 anni conobbi un ragazzo e me ne innamorai. Fui molto fortunata perchè lui ricambiò innamorandosi a sua volta di me. I primi due anni con lui furono stupendi, a 19 anni mi chiese in sposa e io accettai. Un giorno capitò che usai la sua macchina per andare a fare la spesa e Destino volle che facessi un incidente. L’auto di Fabio era da rottamare, io per fortuna no, stavo bene, anche se mi tennero sotto osservazione per qualche giorno. Quando ritornai a casa, Fabio non era felice di vedermi. “Amore, scusami per la macchina… Lo so che ci tenevi, ma ne compreremo un’altra…” Mi sentì di giustificarmi. Provai ad avvicinarmi, perchè mi mancava il suo contatto. “E con quali soldi? Con i miei suppongo, visto che in questa casa lavoro solo io!” Quando provai ad abbracciarlo, si ritrasse. “Avevi detto che dovevo pensare ai miei studi intanto e che poi avrei lavorato anch’io…” E lui rise. Poi mi mollò uno schiaffo col dorso della mano in pieno viso.

“Ti pago l’università, ma anche per star zitta.” Quando lo disse, scoppiai in lacrime e corsi a chiudermi nella nostra camera per sfogarmi. Non lo riconoscevo più. Dopo qualche ora di silenzio, Fabio bussò alla porta e mi supplicò di aprire dicendo che gli dispiaceva. Io acconsentì fiduciosa come una bambina a cui uno sconosciuto ha appena offerto una caramella. Però il giorno dopo litigammo di nuovo. Mi volevo vedere con Molly e Fabio non ne voleva sentir parlare. Bastava che pronunciassi il nome della mia amica per farlo andare in escandescenze. “Non voglio che ti vedi più con lei, mi hai capito?”

“Ma perchè?” Chiedevo stupita.

“Perchè no e con me non si discute.”

“Se non mi dici perchè, mi sentirò costretta ad uscire e a incontrare Molly.”

“E io mi sentirò costretto a impedirtelo.” Io mi arrabbiai tanto con lui, mi sentivo ancora una farfalla libera e non capivo il senso del suo divieto di vedermi con la mia migliore amica. E perciò feci quello che farebbe qualsiasi persona che crede di essere nel giusto : andare da Molly. Quando mossi un passo, Fabio mi afferò per una spalla e mi disse : “Ti conviene ascoltarmi, lo faccio per il tuo bene.”

“Allora se vuoi il mio bene, amami e basta.” La cosa lo fece ridere, ma continuò a bloccarmi la strada. Quando cercai di spostargli la mano con la mia, mi prese anche quella e mi sbattè contro al muro. “Fabio, lasciami, voglio andare da Molly!” Lui mi penetrò in bocca con la sua lingua per farmi stare zitta, infilò la mano libera tra le mie gambe e provò a inserirmi dentro tutte le dita che poteva. Io gridai. “Mi fai male! Smettila!” Più cercavo di spostare il peso del suo corpo e più sentivo di non farcela. Quello lui lo chiamava amore.

Dopo quella volta mi impedì di uscire di casa. Ogni sera poi voleva farlo e quando a me non andava mi prendeva lo stesso dicendo che “era mio marito e glielo dovevo”. Un giorno, di nascosto da lui, chiamai Molly e le confessai che quella non era la vita che avevo immaginato e che non sapevo più se la volevo e la mia amica scoppiò in lacrime al telefono. La obbligai a dirmi che cos’era successo e lei mi disse che non mi sarebbe piaciuto. “Dopo che ti sei sposata con Fabio… Insomma, ero ad una festa, un ragazzo mi chiese di andare a fare un giro in macchina, io accettai, solo che ad aspettarmi, oltre a lui, c’erano altri due ragazzi e uno di questi era tuo marito…” “E allora? Dove sta il problema?”

“All’inizio Fabio non mi ha riconosciuta, forse era brillo… Gli ho dovuto urlare il mio nome e il tuo un sacco di volte prima che smettesse…”

“Smettesse di fare cosa, Molly?”

“…di violentarmi assieme agli altri!” E scoppiò di nuovo in lacrime. “Molly, che stai dicendo… Perchè mi stai dicendo queste cose, perchè?” Ma tutto si incastrava alla perfezione. Fabio mi impediva di vedere la mia migliore amica, perchè lei aveva un segreto che mandava a monte l’immagine pura di sè che aveva regalato a tutti. Scoppiai in lacrime anch’io, perchè sapevo che non stava mentendo, avevo assaporato l’aggressività di Fabio proprio in quell’ultimo periodo.

“Ora vengo a prenderti e andiamo a denunciarlo.” Mi offrì. Io credevo nella giustizia. Molly mi pregò di non farlo, disse solo “non dirlo a nessuno, per favore.”

“Ma Molly! Dobbiamo dirlo, quando c’è un problema bisogna affrontarlo…” In quel momento era rientrato mio marito. Aveva sentito l’ultima frase. Ebbi veramente paura di lui quando mi disse : “Allora affrontiamo questo problema.

” Mi violentò per terra e mi prese a calci e pugni e mi fece sanguinare tutte le lacrime che mi avevano donato.

“Dillo a qualcuno e ti uccido.” Lo disse con serietà e poi mi diede una carezza sulla testa come se non fosse successo niente. Io mi contorcevo dal dolore e lui – in piedi di fronte a me – disse solo : “Vatti a lavare, fai schifo, sembri uno straccio.” Ebbi la forza di andarmi a chiudere in bagno solo perchè morivo di paura. Ogni tanto guardo le cicatrici che mi ha lasciato la mia storia d’amore. Ne ho i lividi e non sono solo psicologici. A volte mi sveglio durante la notte urlando, per colpa degli incubi. Ho perso anche un figlio per colpa sua. Ho resistito vent’anni al terrore, senza dire niente. La paura è marmo. E’ ghiaccio. Ti fa gelare le tue funzioni vitali, ti impedisce di muoverti, di agire o anche solo di dire. Io credevo nell’amore. I miei avevano giurato sulla sua esistenza. Ma io credo di non averlo trovato e non so più nemmeno se ho voglia di cercarlo ancora. So solo che ho voluto essere di nuovo Vanessa. E ho cercato di aggiustare le mie ali ferite e di provare a volare come prima. Perciò dopo l’ennesima violenza, ho preso in mano la mia vita a forma di coltello e ho ucciso mio marito nel sonno.

Argeta Brozi – Correggio (RE)

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