Una moltitudine di bambini più o meno intonati urla a squarciagola la nota canzoncina di compleanno.
È il momento della torta, il festeggiato spegne le candeline in un soffio, ansioso di aprire la montagna di regali ricevuti.
Alcuni piccoli curiosi osservano l’operazione, i bambini più grandi si allontanano fingendo disinteresse.

“Quante volte alla settimana tuo padre si arrabbia con tua mamma?”
“Ma che ne so? Mica litigano sempre.”
“Le donne bisogna picchiarle perché altrimenti non ti rispettano.”
“Che cavolo dici? Dove le hai sentite queste cose?”
“Mio padre gliele da ogni tanto. Si vede che è lui che comanda.”
“Anche tu la pensi così?”
Il bambino più piccolo si avvicina al fratello maggiore e all’amico con il solito sguardo intimorito.
“A me dispiace quando la mamma piange.” Cinguetta con la sua voce da infante.
“Smettila! Se continui così diventi una femmina.”
“Smettila tu! Lo spaventi.”
“Non ti impicciare. Lui è mio fratello e gli parlo come mi pare.”
L’indifeso cucciolo d’uomo lancia la palla e con la scusa di andarla a riprendere si allontana.

Frammenti della conversazione vengono colti dalla maestra dei ragazzi.
 “Non mi piace per niente quello che ho sentito. Spero di sbagliarmi.”

Una volta al mese il marito le concede di fare provviste all’ipermercato, ma l’accompagna per tenere sotto controllo i prodotti acquistati, stabilendo la cifra da spendere. È lui ad amministrare personalmente il denaro della famiglia e nonostante gestisca un bar insieme alla moglie non la mette a conoscenza degli introiti, le concede piccole somme per comprare vestiti ai figli e per andare dalla parrucchiera, quando ritiene che sia conciata come uno spaventapasseri.

La donna sta riportando il carrello della spesa e si imbatte nella maestra del figlio maggiore.
“Buongiorno. Come sta?”
“Buongiorno. Bene, grazie. Anche se la pancia comincia a pesare.”
“È proprio sicura di stare bene?” insiste la maestra e senza farsi notare infila qualcosa nella borsetta della donna.
“Certo!” Esclama allontanandosi contrariata.
Chi si crede di essere per indagare sulla mia vita? Chissà cosa le passa per la testa.
Nel frattempo nell’auto i due fratellini giocano a farsi il solletico, ridono e lanciano urletti divertiti.
“La volete piantare? Se continuate a fare i bambini cattivi vostra madre starà male e il bambino che ha nella pancia morirà.” Li fulmina il padre fissandoli dallo specchietto retrovisore.
I bambini si zittiscono all’istante. Il più grande si volta verso il finestrino: fugge con lo sguardo immaginando di essere altrove; il più piccolo abbraccia forte il pallone e chiude gli occhi: si concentra sul gioco preferito, sforzandosi di non piangere.
La donna sale in auto. Guardando i figli avverte tensione ma non osa domandare nulla.
“Quanto ti ci vuole per riportare un carrello? Muovi quel culone. Non ho tempo da perdere, io devo mangiare.”

 “Non mi sento tanto bene. Avrei bisogno di riposare un po’, l’ha detto anche la dottoressa. Domani non verrei al lavoro.”
Il marito fa una piroetta su se stesso e l’afferra per le spalle scrollandola con forza.
“Cosa ti passa per la testa. Tu devi venire al bar. Non trovare scuse.”
“Non manca molto al parto, sono stanca.”
“Non ne fai mai una giusta. Sei una buona a nulla. Vedo come ti guardano gli altri uomini. Tu con quel sorriso da puttana sempre stampato sulla faccia gli fai intendere che li vuoi scopare.”
“Non è così. Sono gentile con tutti i clienti. Non ti ho mai tradito, ho sempre voluto solo te. Abbiamo una bella famiglia. Avremo questa bambina.”
“Cosa me ne faccio di una femmina, un’altra stupida come te. E poi chissà da chi ti sei fatta scopare per essere incinta di questa bastarda. I soldi mi servono per comprare l’auto nuova.”
Il marito la fissa con odio, una raffica di pugni la raggiunge al ventre.

 “Mamma, perché siamo morte?”
“La morte è scritta nel destino dell’essere umano.”
“Ma io non sono neanche nata.”
“Io volevo che tu vivessi.”
“E come siamo morte?”
“Ci hanno uccise.”
“In che modo?”
“Sono stata massacrata con calci e pugni. Il mio corpo esanime non ti ha permesso di sopravvivere.”
“Chi è stato?”
“Mio marito, tuo padre.”
“Come fai a sapere che è stato lui?”
“L’ho visto. Mi fissava con occhi vacui e mi ha assalita. Ho lottato per salvarti.”
“Perché ci ha uccise?”
“Si era convinto che l’avessi tradito. Continuava a ripetere che non eri sua figlia, e poi non voleva altri figli.”
“Ora dovrà crederci: l’autopsia ha detto che avevo i suoi geni.”
“Ho cercato di dimostrargli il mio amore ogni giorno. Non ero mai all’altezza delle sue aspettative. Negli ultimi mesi , sembrava accecato dalla gelosia.”
“Hai altri figli…”
“Sì, due. I tuoi fratellini.”
“Come faranno senza di te?”
“Non avrei voluto lasciarli. Staranno con i miei genitori, di certo saranno amati.”
“Non ti eri accorta che voleva ucciderci?”
“Mi ripeteva che avrebbe smesso di picchiarmi.”
“Gli hai creduto?”
“L’amavo. Siamo una famiglia. Eravamo…”
“Non ha più importanza.”

Ora bastaaa!
Un doloroso grido nella notte squarcia il velo di silenzio.
La donna scatta a sedere sul letto, è completamente bagnata di sudore, come se fosse appena emersa dall’acqua. Trema per il terrore, batte i denti.
È quasi l’alba. Il marito non è ancora rincasato.
Si veste alla svelta, sveglia i bambini.
Mentre fruga nella borsa in cerca delle chiavi dell’auto trova un bigliettino con l’indirizzo di una casa per donne maltrattate.
Se ne và stringendo in un abbraccio amorevole i suoi tre figli.

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