Adelina, seduta vicino alla finestra, riprendeva l’orlo dei pantaloni del marito, che sonnecchiava sul divano guardando la televisione, com’era sua abitudine da anni.
“Potremmo andare al mare” disse lei.
“Mmm” rispose lui.
L’orologio segnava lentamente il tempo che trascorre monotono nella pianura, calda d’estate, nebbiosa d’inverno, sempre uguale per chilometri e chilometri. Le sarebbe piaciuto saper guidare la macchina, sarebbe andata fino a Pavia, a trovare suo fratello più grande, il Luigi, oppure, quand’era ancora vivo, il Gianni a Milano, ma nessuno le aveva mai insegnato a guidare, anche se vendevano automobili. Andava al cimitero invece, a mettere i fiori e a pregare, perché i figli del Gianni abitavano all’estero, e la moglie diceva che i morti li pregava a casa sua. Gianni raccontava sempre ai suo bambini che da ragazza la zia era una sarta bravissima, che avrebbe potuto metter su una boutique, che era lei ad avergli insegnato a vestirsi nel modo così distinto che tutti gli invidiavano anche ora che lavorava nel mondo della finanza. “Non bastano i soldi per fare l’eleganza” diceva il Gianni indicando la sorella e i bambini annuivano pieni di ammirazione.
Adelina invece si era sposata. Giovanissima, come si faceva allora.
Sua madre le aveva detto che faceva bene a prendersi uno serio che pensava a lavorare, che era la cosa più importante. E aveva sempre lavorato anche Adelina, prima alla pompa di benzina, poi nel negozio di automobili, sempre di corsa, sempre a fare le scale saltando i gradini, sempre a finire i conti la sera tardi, tranne quando aveva partorito, che si era potuta riposare un po’. Ma Adelina non poteva lamentarsi, avevano tutto, anche due pellicce.
Non come sua sorella, la Lucia, che se ne era andata con uno bello, che ballava bene. Non avevano mai fatto molti soldi, lui faceva il camionista e lei la babysitter. Se ne erano andati a Genova, perché c’era lavoro nel porto, tutti i nipoti la andavano a trovare e andavano insieme al mare. Anche ad Adelina, sarebbe piaciuto andare al mare! ma non potevano, perché avevano sempre tanto lavoro, e suo marito aveva paura che rubassero le macchine. A Natale invece, siccome avevano la casa più grande, venivano tutti da loro. La Lucia portava le lasagne al pesto che facevano impazzire i nipotini, e Adelina faceva l’arrosto.
Il figlio del Gianni chiedeva sempre perché non andavano mai in vacanza.
“Io avrei i soldi per andare tutto l’anno a Sanremo” diceva trionfante suo marito al nipotino, “ma a me piace stare a casa mia.” Adelina stava zitta. Andava a lavare i piatti, a mano, non avevano mai comprato una lavapiatti. “Non serve” diceva Adelina. Ma la verità è che le piaceva dopo pranzo avere una scusa per andarsene da quella folla di persone allegre, e perdere i propri pensieri nello scrosciare dell’acqua fredda, sentire la mani gelare, poi bruciare, poi gelare di nuovo, un giorno dopo l’altro, un Natale dopo l’altro, tanto che le nocche le si erano gonfiate e le dita erano diventate tutte storte. D’inverno quando veniva umido, sentiva delle fitte così forti che le veniva da piangere, lei che non si lamentava mai, così quando qualche volta le scendeva una piccola lacrima dagli occhi, poteva dire che erano le mani che le facevano male per l’umidità.
La figlia del Gianni diceva che loro ce l’avevano la lavapiatti e che da grande ne avrebbe certamente comprata una, e ne avrebbe comprata una anche ad Adelina. Allora Adelina le regalava sempre i cacciatorini della pianura e anche le ciambelle con l’uvetta. Avrebbe tanto voluto fare dei vestitini per la figlia del Gianni, ma la bambina era tutta occupata a correre da tutte le parti e sua madre le faceva portare i pantaloni come a un maschiaccio. Almeno, quando c’era il Gianni, per le occasioni la vestivano bene, ma dopo sembrava proprio un figlia di nessuno, e sua madre non le diceva mai niente, la sgridava solo perché non studiava abbastanza anche se era la più brava della classe. Ma l’era tanto una brava fieula, sapeva quattro lingue e ora abitava all’estero. E quella sì che guidava la macchina! Persino in Inghilterra dove guidano all’inverso, Adelina aveva sempre una paura che facesse un incidente, soprattutto quando faceva i traslochi con dei pulmini che affittava, perché una donna su un pulmino poteva farsi male.
“Andiamo al mare!” disse di nuovo Adelina. “Potremmo andare da mia sorella. Il negozio lo può tenere il Mauro, ora che è grande”.
“C’è troppo lavoro” rispose lui. “E poi tua sorella ha una casa troppo piccola.”
Adelina sentì una fitta alle dita e si punse con l’ago.
Adelina, seduta vicino alla finestra, riprendeva l’orlo dei pantaloni del figlio, che era venuto a prendere il caffè da lei prima di scendere in negozio come era sua abitudine da quando il padre era morto, e raccontava del suo viaggio ai Caraibi.
“Mi piacerebbe andare al mare.” disse Adelina.
“Sei troppo vecchia mamma, alla tua età il sole fa male”.
Adelina guardò fuori dalla finestra. L’orologio segnava lentamente il tempo che trascorre monotono nella pianura, calda d’estate, nebbiosa d’inverno, sempre uguale per chilometri e chilometri.
“Portami al cimitero, voglio cambiare i fiori”. “Ancora?”
Ancora, sì, pensò Adelina. Almeno il cimitero, in una così bella giornata di sole, doveva essere pieno di pace.

Annalisa Panati
(nata a Verona nel 1980)
Laureata in Matematica a Milano, attualmente vive e prosegue gli studi dottorali a Parigi. Parallelamente agli studi scientifici, coltiva interessi artistici. Dipinge, scrive e ha recitato in diversi spettacoli a Milano e Parigi.

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